Associazione Per una Libera Università delle Donne:
Uno sguardo al passato per narrare il presente

di Maddalena Gasparini


Io c'ero
Festa per i 15 anni dell'Associazione
Ottobre 2002


"Lavorare tra donne: pratiche politiche, relazioni, impresa", Convegno promosso da Crinali e svoltosi a Milano il 23 novembre 2002, ha dato alla nostra Associazione l'occasione di riflettere su di sé, riconoscendo cambiamenti e fedeltà alle origini. Quello che segue è una breve narrazione della storia e del presente della nostra Associazione, discusse e rielaborate in alcuni incontri cui hanno partecipato donne rappresentative dell'Associazione dalla sua nascita a oggi.


L'Associazione per una Libera Università delle Donne è un'Organizzazione Non Lucrativa ad Utilità Sociale (ONLUS), nata nel 1987 da un gruppo di donne che aveva partecipato all'esperienza didattica dei Corsi di Educazione per gli adulti frequentati dalle donne e alle esperienze dei Consultori per la salute della donna. La pratica dell'Associazione è in continuità col femminismo, sia nei temi di ricerca che nel modo di procedere, con una progressiva apertura ad aree di riflessione che nel frattempo la storia ci proponeva: le reti cyber e le biotecnologie, la guerra e l'incontro con culture e vite diverse dalle nostre.
Il nome -Libera Università- implicitamente richiama l'insegnamento e la ricerca, fuori dalle strettoie accademiche; l'originario impianto pedagogico che si esprimeva nei Corsi, regressivo rispetto alla pratica femminista, nel confronto con le vite delle donne che vi partecipano si fa pratica politica, opportunità di cambiamento; alle contraddizioni si guarda consapevolmente, perché siano fertili, dei ruoli interni all'Associazione (docenti, corsiste, segreteria) si discute perché non si irrigidiscano.
Nel 1997 la modificazione dello statuto per inserire la finalità formativa fra quelle dell'Associazione perché i corsi fossero riconosciuti dal provveditorato ai fini della formazione e dell'aggiornamento obbligatorio delle insegnanti avviene sottotono: sembrò un'opportunità per trasmettere una pratica capace di entrare nei campi disciplinari attraverso le vite, di approfondire il nesso fra l'espressione dell'identità femminile e l'esperienza culturale, il rapporto fra sessualità e saperi.
Il primo progetto di formazione di mediatrici culturali nasce in questo contesto, promosso dalle donne che avrebbero poi dato vita all'associazione autonoma di Crinali: l'incontro con le istituzioni e con il mondo del lavoro, le scadenze, gli obblighi formali e sostanziali, l'entità degli stanziamenti, erano fuori misura per la struttura della nostra Associazione, che d'altra parte non riuscì a chiedersi esplicitamente se e come cambiare per fare spazio a quell'esperienza.
Avviene in quegli anni l'incontro obbligato con una realtà sociale in cambiamento. Corsi di formazione professionale o di intrattenimento per il tempo libero si moltiplicano e non è semplice trasmettere la sostanziale differenza del nostro impegno che chiede a ciascuna di arricchire l'apprendimento con l'esperienza della propria vita. Quello che poi si sarebbe chiamato III° settore acquista rilevanza economica e politica, occupando lo spazio da cui si sta ritirando l'iniziativa pubblica. La crisi della politica dei partiti preme alle porte delle Associazioni chiamate a un ruolo sostitutivo. La separazione esistenziale e concettuale fra lavoro produttivo di reddito e militanza si fa meno netta; l'uno e l'altra si fanno plurali, a tratti si sovrappongono.
All'Università nascono altre forme d'incontro, favorite dall'emergere di soggettività nuove, come il gruppo delle lesbiche, dalla necessità di affrontare temi che il femminismo aveva lasciato ai margini, come il lavoro o questioni inedite come le biotecnologie e le tecnologie della comunicazione. Viene attivato un sito (www.linda.it), la posta elettronica (universitadelledonne@tin.it) e quest'anno una newsletter: lo spazio virtuale contribuisce alla costruzione di un'immagine comune dove ciascuna può seguire il proprio filone di ricerca tenendosi in relazione con le altre fra un incontro "reale" e un altro.
L'Università delle Donne diventa un luogo da cui guardare alle cose del mondo con uno sguardo speciale. Cito a memoria l'organizzazione di un seminario sull'Islam (1995) e di incontri con scrittrici e intellettuali di ogni parte del mondo, il convegno "Donne del sud donne del nord" (1994) e le assemblee contro le guerre. Abbiamo pubblicato documenti collettivi contro il progetto di legge del 1999 sulla procreazione medicalmente assistita e contro la guerra in Kossovo, partecipato alla Marcia per la Pace Perugia-Assisi del 2001 e al Social Forum del 2002 a Firenze; abbiamo stabilito rapporti con alcune formazioni politiche di donne e con donne della politica; abbiamo organizzato una raccolta di fondi per finanziare il progetto di una organizzazione non governativa afgana di cui avevamo incontrato la presidente e una "veglia" per la Palestina. Si sono precisati alcuni filoni di ricerca: la religiosità al femminile, la poesia, il mito, il rapporto delle donne col lavoro, i femminismi e la loro trasmissione alle nuove generazioni di cui testimonia il recente "Sconvegno" (maggio 2002) organizzato da giovani donne, che si interrogano sul significato dell'essere oggi femminista.

La dimensione d'impresa, i processi decisionali, i rapporti con le istituzioni
Cosa resta oggi dell'Associazione delle origini e come funziona? Dal passato condiviso, dal piacere del presente, da una libertà sostanzialmente estranea alla dimensione d'impresa traggono forza e legittimazione i legami che tengono insieme i gruppi e le donne singole che si muovono dentro l'Associazione. Non esistono priorità se non quelle dettate dal desiderio politico, dall'urgenza vissuta e proposta dalle diverse socie che si organizzano coinvolgendo parti consistenti dell'associazione sulle "proprie" scadenze.
L'assenza di obblighi formali, la sottrazione a criteri di efficientismo, l'irregolarità con cui nascono e si sviluppano o muoiono progetti, rende l'investimento personale una necessità spesso faticosa che aumenta il bisogno di un riconoscimento esplicito per le cose che funzionano bene ma non impedisce lamentele per quelli che vengono recepiti come insopportabili intoppi. La libertà e l'autonomia presenti all'interno dell'associazione presuppongono rispetto per il lavoro delle altre, ma generano anche un certo grado d'indifferenza, la tendenza a gestire in proprio le cose piuttosto che confrontarle o metterle in comune, una comunicazione intenzionale frammentaria, oggettivata nelle dispense e nei programmi o nei consuntivi.
La struttura organizzativa formale riflette questo stato di cose: l'organismo decisionale è l'Assemblea delle Socie che si riunisce annualmente e approva, oltre al bilancio, un calendario di attività che poi il Comitato di Gestione è incaricato di seguire e aggiornare nel tempo mentre le donne della Segreteria svolgono il prezioso lavoro di "riproduzione" dell'associazione. In questo contesto ha il massimo di valore l'affidabilità, intesa come capacità di non deludere le altre rispetto ai tempi e ai compiti assunti mentre i tentativi di razionalizzazione prendono il sapore della burocrazia e cadono in disuso o vengono adattati alla personalità dell'operatrice.
Potremmo nominare tutto ciò "pratica della differenza" in contrapposizione alla politica dell'identità messa in opera da chi si raccoglie intorno a un'analisi e a un progetto d'intervento condivisi; è una pratica in divenire, evidente nella forma organizzativa come nella messa in atto dei progetti, necessaria ma che apre più problemi di quanti ne chiuda. La ricomposizione delle libertà singole in una socialità fra donne se non in un collettivo avviene con fatica e incostanza, è affidata al rapporto fiduciario fra le persone piuttosto che ricercata, mostra la sua fragilità nelle solitudini e nei conflitti di cui si teme, nelle separazioni che pure sono avvenute, negli andirivieni che caratterizzano l'appartenenza di molte.
La nostra associazione non ha come finalità o necessità il lavoro, inteso come fonte di denaro. La maggior parte delle attività svolte all'interno dell'associazione sono gratuite, che si tratti di ruoli istituzionali (la Presidenza, la presenza ai Comitati di Gestione…), del lavoro di Segreteria o dell'impegno a condurre a buon termine un'iniziativa. Manca una dimensione organizzativa finalizzata all'efficienza produttiva dell'Associazione nel suo complesso; questo permette di ridurre al minimo gli obblighi del lavoro volontario e l'assenza di retribuzione sembra andar di pari passo con gradi di libertà altrimenti non tollerati. La contraddizione fra un lavoro volontario che non risponde ad altri che a sé e i vincoli di iniziative finanziate dai fondi pubblici e finalizzate al raggiungimento di un obbiettivo permette raramente un'efficienza collettiva e una visibilità pubblica.
Nel corso degli anni d'altra parte il reperimento dei soldi necessari per la vita dell'associazione è diventato assai più faticoso: alle difficoltà nostre si è associata infatti una progressiva riduzione dei fondi pubblici destinati alla cultura. La distanza che la storia recente ha messo fra molte di noi e le istituzioni pubbliche, non ci impedisce di pensare che ad esse si debba guardare indipendentemente da chi le occupa e con esse stabilire rapporti per chiedere soldi, spazi e supporto alle iniziative: l'esistenza di associazioni come le nostre sono il segno di una democrazia dispiegata ed è questa la restituzione che noi operiamo. Ma non è così semplice: le istituzioni favoriscono progetti che restituiscono immagine pubblica, che promuovono lavoro preferibilmente nella forma dell'autoimprenditorialità, cui mal si accorda la critica a un sistema di impresa che non tiene in conto le vite e non è disposto a garantire (e dunque pagare) il tempo necessario della riflessione su di sé e su quanto si viene facendo. La Regione, che dava finanziamenti su progetti finalizzati in base alla legge regionale 9/1993, ha trasferito alla Provincia, riducendo i fondi, la competenza per l'ambito culturale; mentre Comune e Provincia hanno ridotto o azzerato i finanziamenti basati sui resoconti dell'attività svolta e sui programmi futuri.
I vincoli cui adeguarsi per ottenere un finanziamento pubblico, costruiti su criteri aziendali sono sostanzialmente estranei alla nostra Associazione e gli obbiettivi, predeterminati, sembrano intralci al nostro percorso. Tuttavia questa è la sfida che molte ONLUS raccolgono per mettere all'opera e alla prova l'idealità su cui sono nate e costruire opportunità di scambio (anche economico). Noi fatichiamo a esplicitare "per cosa" stiamo chiedendo i soldi e la passione con cui mettiamo in campo progetti non attiva necessariamente tutti i passaggi per renderli operativi, fra cui il reperimento dei fondi: lo slancio volontario si ferma dove finisce il piacere!

 

20 Ottobre 2002